lunedì 20 giugno 2011

Ministeri, lo stop di Napolitano ai decreti di Bossi

ROMA - Un intervento di Napolitano per rimettere Bossi in riga, come auspicato dal governatore del Lazio, Renata Polverini? Sul Colle si glissa, ma non per minimizzare la gravità delle condizioni poste dal Senatùr con la rinnovata richiesta di trasferire alcuni ministeri al Nord.

Il pensiero di Napolitano è chiaro: questa operazione è un’ipotesi inconsistente, non si può fare perché è la Costituzione a non consentirlo. Lo aveva detto a chiare lettere il mese scorso a Firenze quando aveva ammonito che «occorre tener ferme alcune esigenze fondamentali delle strutture portanti dello Stato».

Ricordando che «ci sono funzioni che non possono essere frammentate». Il che significa: i ministeri restano a Roma e non si muovono.

Si comprende anche la ragione per cui Bossi ieri a Pontida ha rivelato che aveva già firmato i due decreti per il trasferimento dei ministeri senza portafoglio (il suo e quello di Calderoli), ma che poi, all’ultimo momento, Berlusconi si è tirato indietro.

In realtà, a quanto pare, è stato proprio il Quirinale a fermare il Cavaliere, lasciando intendere che i decreti non sarebbero passati alla firma presidenziale. Ecco quindi perché sul Colle si considerano non necessari gli appelli o i pressing per ulteriori interventi.

Beninteso: essi non mancheranno nei modi e nei tempi opportuni. Ma Napolitano aveva già lanciato un avvertimento preventivo alla Lega nell’intervento di venerdì scorso a Verona, quando aveva ribadito - non a caso - la permanente validità dell’art. 5 della Costituzione che sancisce l’indivisibilità e l’unità repubblicane pur nel rispetto e nella valorizzazione delle autonomie. Era un modo per esortare Bossi a non alzare troppo il tiro con pretese inaccettabili. Ma le attese sono state deluse. Quindi - spiegano sul Colle - ognuno dovrà fare la sua parte ed assumersi le proprie responsabilità. A partire dal dibattito che la settimana prossima avrà luogo in Parlamento sulla verifica chiesta proprio dal capo dello Stato per le modifiche intervenute nella maggioranza.

Né si sottovalutano altri aspetti preoccupanti dell’escalation leghista, come la richiesta di bloccare le missioni militari all’estero per recuperare risorse e abbassare le tasse. Uno stop che cancellerebbe impegni internazionali assunti dal nostro Paese e che, nel caso della Libia, ci costringerebbe a venire meno ad un intervento complesso disposto dall’Onu e attuato dalla Nato.

Senza contare quella provocatoria richiesta di una scuola riservata ai pm padani o lumbard avanzata da Bossi che avrebbe lasciato sconcertato il Colle. E non solo.

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